Il mito di Medea è già presente nei poemi omerici, all’interno del racconto della spedizione degli Argonauti. Nel corso dei secoli la tradizione si è divisa in due varianti, da una parte quella che attribuiva la morte dei figli di Medea alla famiglia di Creonte o agli abitanti di Corinto e, dall’altra, quella che l’attribuiva a Medea stessa. È quest’ultima versione a prevalere nella tragedia di Euripide a cui nell’articolo facciamo riferimento. La Medea di Euripide fu rappresentata nel 431 a. C. ed è all’origine della tradizione letteraria che rappresenta Medea nel momento centrale della sua leggenda, quello della vendetta contro l’infedele Giasone, attraverso l’uccisione dei propri figli.
Il mito ha ispirato inoltre Pindaro, Sofocle, Apollonio Rodio, Ovidio, Seneca, Valerio Flacco.
Di seguito, abbiamo immaginato che Medea affrontasse una seduta di terapia dallo psicologo riflettendo sulla sua condizione e sui cambiamenti in atto.
Salve Signora, si accomodi, e mi racconti cosa la affligge tanto… lei è visibilmente provata
Buongiorno Dottoressa L., grazie di avermi ricevuta, avevo bisogno di parlare con lei di questa terribile situazione. Non riesco a sopportare tutto ciò, sono stanca, anzi sfinita dal male che quell’essere malvagio mi sta causando. Come posso sopportare questa situazione? Le mie spalle non sono così larghe da reggere il peso di questo tragico destino. Giasone, il padre dei miei bambini, mio marito, si è unito in matrimonio a quella donna, figlia di Creonte, tradendo me e la sua intera famiglia. E adesso, dopo essere stata tradita e umiliata, il sovrano di questa terra, che mi ha accolto molto tempo fa, vuole scacciare da Corinto me e i miei bambini. Come può Giasone, permettere tutto ciò? Come può acconsentire al nostro esilio? Ahimè sventurata!
Capisco il suo stato d’animo così sofferente, a volte il peso di certe vicende diventa insopportabile. Ma come siamo arrivati a questo punto Medea? Proviamo insieme a ripercorrere il passato per capire cosa l’ha portata in una situazione come questa.
Nonostante il dolore che mi provocano tali ricordi, cercherò di raccontarle la nostra storia.
Inviato da Pelia a conquistare il Vello d’Oro, con la falsa promessa di restituirgli il trono, Giasone partì alla volta della Colchide, a bordo della nave Argo, con i suoi valorosi compagni. Maledico il giorno in cui quella nave ha volato oltre le cerulee Simplegadi, verso la terra dei Colchi! Maledico me stessa, colpita al cuore dall’amore per Giasone, per il quale ho compiuto le peggiori delle mie azioni! Fu prima Atena ad aiutarli a superare le rupi Simplegadi, ma fu grazie alle mie capacità che il drago che sorvegliava il Vello si addormentò e Giasone e i suoi riuscirono a sottrarlo. Io innamorata di Giasone, per volere di Afrodite, lo seguii sfuggendo all’inseguimento di mio padre Eate e tornammo nel suo regno. Lì Giasone risolse i suoi problemi famigliari, ma data la complicata situazione decidemmo di cercare un nuovo luogo in cui vivere, così giungemmo a Corinto. Adesso, dopo tanti anni da quegli avvenimenti, Giasone ha deciso di lasciare questa casa, la sua famiglia, per seguire un’altra donna! Sono troppi i sacrifici fatti per amor suo perché io rimanga in silenzio ad assistere ad una tale umiliazione. Soffro pene degne degli alti lamenti e non so come placarle!
Questo suo racconto ed il tono della sua voce non nascondono le profonde ferite che la vita le ha riservato, ma mi sembra di cogliere anche tanta rabbia in lei Medea, nascosta dalla disperazione, non è così?
Oh si! Rabbia furiosa, ira degli dèi! Questa sciagura che si è abbattuta su di me, ha distrutto l’anima mia. Per me è finita: ho perduto ogni gioia di vivere. Colui nel quale avevo riposto tutto, il mio sposo è diventato il peggiore degli uomini. E adesso comprendo che fra gli esseri tutti, dotati di anima e di ragione, noi donne siamo la razza più sventurata. Io sola, senza patria, tolta come preda da una terra barbara, sono offesa da mio marito e non posso rifugiarmi da nessuno dei miei cari. Vorrei soltanto che lui pagasse per il male fatto. Maledico lui, la sua casa, la sua nuova sposa e i miei stessi figli, frutto di questo amore maledetto! Voglio che nessuno di loro goda a straziare il mio cuore, preparerò amare nozze e un’amara parentela, per poi accingermi ad un triste esilio.
Il suo sentimento di vendetta è potente, sembra quasi suggerirle idee molto forti Medea, a cosa crede che potranno portare? Proviamo insieme ad immaginarci cosa potrebbe accadere se davvero lei mettesse in atto progetti guidati soltanto dalla ferita e dal risentimento. Non crede che forse riflettendo insieme potremmo trovare altre strade?
Altre donne hanno provato a dissuadermi di far prevalere l’amore materno su tanta ira e rabbia, ma lui è un uomo sfrontato, odioso agli dèi, a me e a tutta l’umanità. Merita di pagare per il male fatto, merita di soffrire. Non ha tradito soltanto me, ma anche i figli che lui dice di amare…ed è proprio per questo che dovrò chiedere un sacrificio al mio cuore, un atto di coraggio, ma vendetta deve essere fatta.
La donna è piena di paure, vile di fronte alla forza e alla vista di un’arma. Ma quando le accade di essere offesa nei diritti del suo letto, non esiste altro essere più micidiale!
Commento Dottoressa L.
Medea si presenta al mio studio in un evidente stato di frustrazione e disperazione. Gli eventi della sua vita, quelli più recenti ma anche quelli che appartengono al suo passato più lontano, hanno evidentemente messo a dura prova questa giovane madre. Il suo racconto si snoda, infatti, quasi come un fiume in piena non appena le mie domande le aprono la strada al ricordo. Le vicende della sua vita, le ripetute ferite, i mancati riconoscimenti nei suoi confronti e la delusione inesorabile che tutto questo le ha provocato, la riducono ad uno stato umorale profondamente depresso, che indubbiamente Medea ha una grande necessità di esplicitare. Parallelamente, e quasi sovrapposta alle emozioni di angoscia e tristezza, percepisco da subito, tra le sue parole, anche tanta rabbia unita al desiderio di rivalsa. Il suo umore passa repentinamente da eccessi di rabbia a stati di profonda angoscia che mi fanno supporre un qualche disturbo di personalità latente che potrebbe venire a manifestarsi nel tempo. Tuttavia, l’aspetto preminente nel nostro primo incontro sembra essere di altra natura ed è su quello che mi concentrerò per primo. La sensazione è che la vendetta nei confronti della vita intera, ma soprattutto verso il marito, rischi di innescare nei figli un quadro di “Sindrome da Alienazione Parentale”, conseguente alla separazione. Le sue idee manipolative sono ancora molto confuse, ma se non adeguatamente trattate, potrebbero divenire un mezzo di vendetta nei confronti del marito. Questo potrebbe accadere attraverso la messa in atto di comportamenti che, simbolicamente, andrebbero a distruggere il rapporto di lui con i figli. Trattandosi soltanto di un primo incontro, temo che manchi ancora in Medea la possibilità di giungere ad una consapevolezza dei rischi legati a scelte di questo tipo. La speranza è che, su mia indicazione, non ci sia in lei immediato passaggio all’atto, ma che con il tempo, la terapia possa giovarle nella scelta di una decisione più positiva.
Sindrome da alienazione parentale
È la traduzione dell’acronimo inglese PAS (Parental Alienation Syndrome) e sta ad indicare una dinamica psicologica piuttosto articolata che si riscontra nei casi di separazione e divorzio della coppia con figli. Essa è stata indagata in tempi piuttosto recenti dal medico statunitense Richard Gardner (1985). Attualmente è oggetto di dibattito scientifico-giuridico e non ancora riconosciuta come disturbo mentale. Comprende una serie di manifestazioni che si riscontrano sui minori coinvolti in situazioni di separazione e divorzio in conseguenza di tentativi “manipolativi” e “programmatori” da parte del genitore (cosiddetto “alienante”) che tenta in tal modo di minare e spesso distruggere l’altro rapporto parentale.