David Foster Wallace, si impone, tra la fine degli anni ottanta e gli inizi degli anni duemila, come autore di indiscusso successo e di difficile lettura, annoverato dalla critica nella corrente avant-pop.
Ottiene una cattedra alla Illinois State University negli anni novanta e nel 2002 diventa professore di letteratura inglese in California. Apprezzato per il suo stile distintivo e per i suoi racconti-enigma, muore suicida a soli 46 anni, nel 2008, nella sua casa di Claremont.
La scopa del sistema è l’opera d’esordio di David Foster Wallace, pubblicata nel 1987 in America e tradotta in Italia soltanto nel 1999; insieme a Infinite jest, del 1996, rappresenta uno dei lavori più importanti dell’autore.
Spiegare o meglio cercare la trama de La scopa del sistema è impresa ardua: la storia infatti ruota intorno a un gran numero di personaggi, di cui l’autore descrive strambe caratteristiche, che si mescolano in un mondo caleidoscopico e caoticamente affascinante.
I fatti si svolgono a Cleveland nel 1990 e la protagonista è la giovane Lenore Breadsman, ragazza bella e sveglia che lavora per il centralino della casa editrice Frequent e Vigorous, la quale ha importanti legami con l’impresa del padre.
Lenore è improvvisamente sconvolta dalla notizia della sparizione della nonna, a cui è legata da un profondo affetto, dalla casa di riposo in cui alloggia.
Con me usò la scopa, però ti parlo di quando avevo tipo otto anni, o dodici, chi se lo ricorda, e Lenore [la nonna] mi fece sedere in cucina e prese una scopa e si mise a scopare furiosamente il pavimento, e poi mi chiese quale fosse secondo me la parte più fondamentale della scopa, la più cruciale, se il manico o la chioma. Il manico o la chioma. E io non sapevo cosa rispondere, e lei si mise a scopare ancor più violentemente, e io cominciai a innervosirmi, e finalmente dissi che secondo me era la chioma, perché senza manico si può scopare lo stesso, basta tenere in mano l’affare con la chioma, mentre scopare solo col manico è impossibile, e a quel punto lei mi agguantò e mi scaraventò giù dalla sedia e mi gridò qualcosa cosa tipo: «Già, perché a te la scopa serve per scopare, no? Ecco a cosa ti serve la scopa, eh?» e roba del genere. E gridò che se invece la scopa ci serviva per spaccare una finestra allora la parte fondamentale era chiaramente il manico, e passò a dimostrarlo spaccando la finestra della cucina, cosa che fece accorrere i domestici, terrorizzati; ma che se appunto la scopa ci serviva per scopare, tipo per esempio i vetri rotti della finestra, e dai che scopava, allora l’essenza della cosa era la chioma1.
La sparizione della nonna e la ricerca di questa si rivela essere un semplice espediente per mettere in relazione i personaggi e le loro azioni, l’inizio di una storia più complessa, a tratti frammentaria, nella quale il lettore rischia spesso di perdersi.
Lo stile di David Foster Wallace risulta unico, arricchito di periodi lunghissimi (composti anche da sette subordinate), impiego di vocaboli sconci e di espressioni del parlato moderno.
I personaggi che si incontrano lungo le cinquecento pagine sono tipi umani bizzarri: l’uccellino di Lenore, Vlad l’Imperatore (inusuale già nel nome) che un giorno inizia misteriosamente a parlare; La Vache, fratello di Lenore, studente universitario con una gamba di legno, che si fa pagare dai colleghi di college per le risposte ai test; la madre, ricoverata in una clinica psichiatrica in California e tanti altri.
Tra i più interessanti e funzionali alla storia troviamo Rick Vigorous, datore di lavoro, nonché compagno di Lenore, di diciotto anni più grande di lei e con un matrimonio alle spalle, uomo geloso, con complessi di inferiorità, ossessionato dalla figura della ragazza; e lo psicanalista Dr. Jay, da cui sia Lenore che Rick sono in cura, che rappresenta una finestra sul mondo interiore dei due personaggi. La stessa Lenore, nonostante la strana ossessione per piedi e scarpe e la mania per l’igiene, nel grande circo dell’opera sembra essere il personaggio meno insolito.
A complicare la lettura è, inoltre, il continuo cambio di narrazione a causa del quale il lettore, in alcuni capitoli, fatica a capire chi stia parlando.
Si intrecciano alla disordinata trama le storie più interessanti giunte alla casa editrice Frequent e Vigorous, che Lenore chiede a Rick di raccontare, e le sedute dal dottor Jay, di cui vengono riportati i dialoghi.
Non si tratta decisamente di una lettura semplice, richiede perseveranza nel tentare di non perdere il filo della grande matassa, ma conquista per la sua originalità, per l’intrigante modo di scrivere dell’autore, per le particolari storie che si incontrano al suo interno, molte delle quali rimangono interrotte impigliandosi nella memoria del lettore.
Non tutte le parti dell’opera sono necessarie alla storia, ma si rivelano indubbiamente esercizi stilistici dell’autore che si lascia andare ad una sorta di flusso di coscienza per mezzo dei suoi personaggi.
L’opera di David Foster Wallace nonostante la sua difficoltà cattura il lettore in una sorta di sadica dipendenza per la quale non si può smettere di leggere le pagine ingarbugliate anche se, in alcuni passi, si perde totalmente il punto del discorso.
È un libro che stupisce, non lascia indifferenti, fa sì che il lettore torni a rimuginare su quello che sembra un grande enigma matematico, uno sprazzo di mondo, del mondo di Wallace, in cui le persone che lo abitano e i loro sentimenti risultano sfaccettati e caleidoscopici, singolari, difficili da identificare e descrivere.
Un libro consigliato con la premura di pazientare, di non avere l’ossessione di capire tutto ciò che l’autore racconta, ma semplicemente di lasciarsi catturare dalle parole e dal flusso del pensiero dell’autore.
Poi Lang disse: – Tu vai pazza per le parole, vero? – Guardò Lenore. -Vero che vai pazza per le parole?
– Cioè? Che significa?
– Nel senso che le prendi terribilmente sul serio, tipo come se fossero un bisturi, o una motosega che rischia di tagliarti con la stessa facilità con cui taglia gli alberi. Deriva dalla tua educazione, cioè nel senso dell’istruzione, tipo college e laurea eccetera?
-Secondo me è per via dei miei parenti, che tendono tutti a un certo livello di pazzia, e che sicuramente sono molto verbali. Sai, certe volte è piuttosto difficile non essere verbali quando si vive in una famiglia dove tutti chi più chi meno hanno la tendenza a vedere la vita come un fenomeno verbale.
– Capisco2.
1 David Foster Wallace, La scopa del sistema, Roma, Fandango Editore, 1999, p. 167.
2 Ivi, p. 475.