Vincitore del Premio Campiello 2019, Le assaggiatrici di Rosella Postorino pubblicato da Feltrinelli, è un’opera da non perdere. Nelle note all’opera l’autrice ci racconta di aver preso ispirazione, nel 2014, da un trafiletto di giornale, nel quale si raccontava la storia di Margot Wölk, ultima assaggiatrice di Hitler ancora in vita. La donna, fino all’età di novantasei anni, aveva scelto di non parlare del suo lavoro alle dipendenze del Führer.
Da lì è nata la curiosità dell’autrice che, grazie ad un attento lavoro di ricerca, è riuscita a riportare alla luce la storia di quelle donne, divenute, loro malgrado, l’ennesimo emblema della Germania nazista, dei suoi soprusi e delle sue contraddizioni.
La Postorino racconta la storia di Rosa Sauer, nome fittizio, donna tedesca scelta per lavorare come assaggiatrice del Führer. Il racconto di Rosa prende in prestito molti degli eventi realmente accaduti a Margot Wölk.
Come apprendiamo dalle pagine, le donne venivano scelte da alcuni delegati del Führer senza possibilità di rifiutare e con la promessa di mantenere il riserbo sul lavoro svolto.
Rosa, ragazza di Berlino, dopo aver sposato Gregor, rimane sola a causa della partenza di questo per il fronte e della morte di sua madre, a seguito dell’esplosione di un ordigno bellico. Decide così di trasferirsi in campagna, a Gross-Partsch, nella casa dei suoceri, a pochi chilometri dal quartier generale di Adolf Hitler. Lì inizia la sua nuova vita alle dipendenze del regime: poco tempo dopo il suo arrivo, viene scelta come assaggiatrice, raccomandata alle SS dal sindaco del paese. Un impiego ben pagato, che permette a Rosa di guadagnare 200 franchi al mese, più di quanto guadagnasse a Berlino, ma per il quale rischia quotidianamente la vita.
Il lavoro delle assaggiatrici, infatti, consisteva proprio nel mangiare le pietanze che poi sarebbero state servite ad Adolf Hitler, in modo tale da verificare che queste non fossero avvelenate. I piatti erano dei più succulenti e vari e a controllo del corretto svolgimento del lavoro erano presenti in sala mensa sempre delle guardie delle SS che, se ritenuto necessario, non avevano remore nel maltrattare le lavoratrici.
Nella prima parte dell’opera la Postorino cerca di descrivere il lavoro di questo gruppo di quindici donne in maniera cadenzata, come fosse un lavoro ordinario raccontando la loro quotidianità, il tragitto in autobus verso il luogo scelto, le tante mattinate passate nella mensa della caserma di Krausendorf a mangiare prelibatezze di ogni tipo.
Il racconto dei fatti avviene quarantotto anni dopo la fine della guerra, da una Rosa ormai adulta e libera.
Fin dalle prime pagine si riscontra il malessere della protagonista nello svolgere il lavoro, la paura di ogni boccone, la terribile contraddizione tra l’aver vissuto anni di fame durante la guerra e avere, ora, prelibatezze che potrebbero rivelarsi letali. Emerge forte la collisione delle sue idee politiche con quelle vigenti nella Germania del tempo. Rosa, si definisce una “cattiva tedesca”, appartiene ad una famiglia non nazista, contraria alle idee del Führer, ma si ritrova costretta a dover rischiare ogni giorno la vita per lui. Il pensiero la corrode: l’essere uno degli angeli custodi dell’uomo colpevole di quella guerra, la stessa che ha portato via suo marito e sua madre.
Se avesse saputo [il padre] che adesso lavoravo per Hitler. Non potevo rifiutarmi, gli avrei detto, nel caso fosse tornato dal regno dei morti a chiedere conto delle mie azioni. Trasgredendo alle sue regole, mi avrebbe dato una sberla. Non siamo mai stati nazisti, avrebbe detto. Io mi sarei tenuta la guancia con una mano, sbigottita, avrei frignato che non è questione di esser nazisti, la politica non c’entra, non me ne sono mai occupata, e poi nel ’33 avevo solo sedici anni, non l’ho mica votato, io. Sei responsabile del regime che tolleri, avrebbe gridato mio padre. L’esistenza di chiunque è consentita dall’ordinamento dello Stato in cui vive, pure quella di un eremita, lo capisci o no? Non sei immune da nessuna colpa politica, Rosa.
Lo smarrimento, il senso di colpa, l’opposizione agli ideali individuali e famigliari fanno vacillare più volte la protagonista, schiacciata dalle costrizioni del regime, vinta da un sistema al quale non può opporsi.
In quella situazione surreale Rosa riesce a riscoprire il valore dell’amicizia. Conosciamo le paure e le angosce di ragazze come lei, spaventate, ma bisognose, donne che si uniscono per non sprofondare nell’abissale pensiero che quel boccone sia l’ultimo. Un legame retto sul sottile filo vita-morte.
Lavorare per Hitler, sacrificare la vita per lui: non era quello che facevano tutti i tedeschi? Ma che potessi ingerire cibo avvelenato e morire così, senza nemmeno uno sparo di fucile, senza un’esplosione, Joseph non lo accettava. Una morte in sordina, fuori scena. Una morte da topi, non da eroi.
Le donne non muoiono da eroi.
Alle vicende umane di queste donne si intreccia la guerra, il nazismo, l’odio, le persecuzioni, accennate da Rosa: qualcosa di presente per il quale lei non si è mai posta domande.
Nella già complessa e disordinata vita di Rosa, accade qualcosa di imprevisto: nasce una storia d’amore con una delle SS, Ziegler. La lotta per la sopravvivenza si intreccia al bisogno di una speranza, di un affetto, di un appiglio alla vita: una relazione nella quale i sentimenti, per quanto contraddittori, possono salvare da una vita già compromessa.
Rosa lascia entrare nel suo cuore uno dei nemici, un nazista, colpevole e consapevole di tutto ciò che il regime aveva fatto in quegli anni. Da questa prospettiva privilegiata prende consapevolezza di tutte le colpe storiche, non solo attribuibili ai dipendenti del regime, ma a tutta la popolazione tedesca del tempo, compresa se stessa:
Avrei potuto sapere in quel momento delle fosse comuni, degli ebrei che giacevano proni, attaccati l’uno all’altro, aspettando il colpo alla nuca, della terra gettata sulle schiene, e la cenere e l’ipoclorito di calcio, per non farli puzzare […]. Avrei potuto apprenderlo prima della fine della guerra. Avrei potuto chiedere. Ma avevo paura e non riuscivo a parlare e non volevo sapere.
La Postorino realizza pagina, dopo pagina, il ritratto di una donna dalle tante fragilità e paure, contraddittoria e sentimentale, ma che conserva nel mare dei suoi dubbi ancora una speranza.
L’autrice ci restituisce la tessera mancante di un grande puzzle storico, leggendo “Le assaggiatrici” ci caliamo nell’animo umano di Rosa ed inevitabilmente ci interroghiamo su cosa sia lecito fare per sopravvivere, qual è il limite da non superare?
Un libro introspettivo, emozionante, ricco di colpi di scena, nel quale le vicende umano si intrecciano perfettamente a quelle storiche. Consigliato!