Pubblicato nel 1953, Le libere donne di Magliano è l’opera più famosa dello psichiatra-scrittore Mario Tobino. Il libro racconta le storie di alcune delle pazienti che il dottore ha assistito nel manicomio di Maggiano, in provincia di Lucca.
Una delle leggere sopra elevatezze che morbide sorgono per questa pianura è il colle di S. Maria delle Grazie. Su questo colle si distende il manicomio di Lucca, per tutta la provincia famoso col nome di Magliano, tanto che Magliano è sinonimo di matto e quando uno si dimostra irregolare: “vai a Magliano” oppure “sei di Magliano?”, e la ragione di questo nome è perché la frazione sulla strada provinciale più vicina al manicomio si chiama appunto Magliano e l’abilità popolare indica con i mezzi più facili, e così questo nome si è appropriato ogni fama benché in realtà il manicomio poggi sul colle di S. Maria delle Grazie.
Tobino, a partire dal 1943, fu responsabile del reparto femminile del manicomio toscano e per più di dieci anni dimorò in una delle stanze della struttura.
Il manicomio era ospitato tra le mura di un ex convento che, come spiega l’autore, accoglieva più di mille pazienti, duecento infermieri e diciannove suore. L’area era divisa in reparto “osservazione”, per l’accoglienza e la valutazione delle malate che poi venivano rilasciate oppure spostate in altre stanze; e reparto di “vigilanza” in cui venivano ricoverate le pazienti più pericolose. Al racconto di queste ultime sono legate le storie più emozionanti dell’opera.
L’esperienza maniacale è raccontata in tutta la sua verità proprio perché frutto del vissuto di Mario Tobino. Lo scritto nasce, infatti, dalla rielaborazione delle cartelle cliniche delle pazienti del manicomio che Tobino era solito annotare su un quaderno insieme al resoconto di quanto accaduto durante la giornata.
Attraverso le pagine de Le libere donne di Magliano conosciamo non solo il Mario Tobino scrittore, ma anche lo psichiatra che, con amore e devozione, ha dedicato tutta la sua vita ai folli.
La grandezza di questo autore sta nell’essere stato il primo in Italia a coinvolgere la società sul tema della salute mentale. Con Mario Tobino la psichiatria diventò popolare. Fu divulgata nei suoi scritti per sensibilizzare i lettori su un tema delicato di cui si evitava di parlare, se non in ambito medico, e per denunciare le condizioni in cui spesso versavano le pazienti.
Fuori c’è la vita, la gioventù, la bellezza, la gioia che ride; e qui mille matti rinchiusi, prigionieri dei loro deliri, sudati, sporchi, poveri.
Tobino riesce a descrivere la follia in maniera poco romanzata e molto realistica grazie alla sua esperienza professionale e al fatto di aver realmente vissuto il manicomio come fosse la sua casa.
Nell’opera non è raccontata una sola storia, ma sono descritte le tante storie delle donne presenti nell’istituto, finestre su un mondo poco conosciuto. Si intervallano i racconti di persone e, si badi bene, non di personaggi, che negli anni il dottore ha incontrato e con cui si è confrontato.
Questi matti sono ombre con le radici al di fuori della realtà, ma hanno la nostra immagine (anche se non precisa), mia e tua, o lettore. Ma quello che è più misterioso domani potranno avere, guariti, la perfetta immagine, poi di nuovo tornare astratti, solo parole, soltanto deliri. Dunque è il nostro incerto equilibrio che pencola, e insuperbiamoci e insieme siamo umilissimi, che siamo soltanto uomini capaci delle opposte cose, uguali, nel corso delle generazioni, alla rosa dei venti.
L’intento dell’autore è quello di mostrare quanti valori si nascondano dietro la follia, quanto queste persone, escluse dalla società, siano degne di amore. Mario Tobino con i suoi romanzi, tradotti in tutto il mondo, ci permette di entrare nelle stanze della follia.
La lettura colpisce perché dalle pagine traspare l’amore e la dedizione di un uomo per le persone bisognose e non solo lo sguardo critico dello psichiatra nei riguardi dei suoi pazienti. Questo aspetto si nota nel coinvolgimento emotivo del medico: le notti insonni a causa dei ricordi dei deliri delle donne, la tristezza per il trasferimento di alcune di esse in altre strutture, il rammarico per una donna che sembrava guarita e torna in una delle stanze del manicomio.
Tobino non guarda a queste donne solo come a pazienti, ma come ad esseri umani, bisognosi di affetto e non solo di cure.