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PsicoLetturificio incontra Septimus da La signora Dalloway
Septimus psicoLetturificio

La signora Dalloway è uno dei romanzi più noti di Virginia Woolf. Venne pubblicato nel 1925. A proposito del suo lavoro la stessa Woolf dichiarò: “Dei miei romanzi questo è il più soddisfacente. Sembra che io sia riuscita ad affondare negli strati più ricchi della mia mente”. Septimus Warren Smith è uno dei protagonisti della storia: un uomo che ha combattuto la prima guerra mondiale, della quale porta evidenti strascichi.

Di seguito, abbiamo immaginato che Septimus Warren Smith affrontasse una seduta di terapia dallo psicologo riflettendo sulla sua condizione e sui cambiamenti in atto.




Buonasera Sig. Smith, a quanto mi diceva sua moglie si trova qui per un ulteriore consulto dopo aver già sentito il parere di altri colleghi… che succede? come si sente? mi racconti qualche episodio

Buonasera Dottoressa L., grazie di avermi ricevuto e perdoni l’insistenza di mia moglie. Se mi vede reticente è proprio perché le esperienze precedenti con alcuni suoi colleghi sono state davvero spiacevoli. Credo di non aver avuto l’aiuto di cui necessitavo. Tutto è iniziato con il dottor Holmes, consigliatoci dalla signora Filmar, un giorno in cui ebbi un mancamento. Questo ciarlatano, impostore, nonostante il mio stato di salute, evidentemente compromesso, continuò a ripetere a mia moglie che non avevo nulla, che necessitavo di qualche giorno di vacanza e niente di più. Quella natura umana, così l’ho soprannominato, iniziò a venire ogni giorno nella mia casa, a invadere i miei spazi, finché un giorno decisi di cacciarlo via. Rimasi in cura da lui, se così si può dire, per sei settimane. Poi fu la volta di Sir. William Bradshaw, il quale riconobbe subito un crollo nervoso e fisico ma, come un predatore si avventa sulla sua preda, lui fece lo stesso con me, consigliando a mia moglie di rinchiudermi in una casa di cura in campagna. Voleva internarmi come un pazzo, capisce? Quei due medici sono stati spietati come animali.


In effetti sua moglie mi è parsa piuttosto preoccupata, mi parli di lei, del vostro rapporto, come vi siete conosciuti?

Io e Lucrezia ci siamo conosciuti a Milano, io ero tornato dalla guerra e alloggiavo nella casa di un albergatore. Nel retro di questa casa c’era una stanza in cui un gruppo di donne confezionava cappelli. Una di queste era Lucrezia, la più giovane delle sorelle. Fui avventato e una sera, preso dal panico e dalla paura di essere solo, come spesso mi accadeva da quando ero tornato dal fronte, decisi di chiederla in matrimonio. A volte penso di non amarla davvero, penso di essere stato un vigliacco a farle vivere una vita con me accanto… Ma poi mi rendo conto di non sentire più nulla. Lei vorrebbe di più da me, dal nostro rapporto, dice di sentirsi sola, infelice, mi ripete di volere dei figli, un figlio maschio che somigli a me. Un giorno, a tal proposito, parlando con la Signora Filmar, Lucrezia iniziò a piangere così forte, singhiozzi che io sentii da lontano. Lei piangeva e io non provavo nulla… Ma improvvisamente mi sentii come sprofondare in un pozzo e persi i sensi. Fu allora che la Signora Filmar ci consigliò di chiamare il dottor Holmes.


Comprendo che il tema della maternità è centrale nel vostro rapporto, cosa la turba di questo argomento? Qual è la sua opinione?

La mia opinione è sincera, schietta: non si possono fare figli in un mondo così. Non si può perpetuare la sofferenza, né aumentare la razza di questi animali lussuriosi, che non hanno emozioni durature, ma solo capricci e vanità, che li trascinano ora da una parte, ora dall’altra. La verità è che gli esseri umani non hanno né bontà né fede, né carità, se non quella che serve ad aumentare il piacere del momento. Cacciano a branchi. A branchi scorrazzano per il deserto e si disperdono urlando per le lande. Abbandonano chi cade. L’esperienza della guerra mi ha insegnato a leggere l’animo umano, ad interpretarlo. Siamo circondati dalla cattiveria, le persone intorno a noi non vogliono il nostro bene, sono crudeli! Perché mai dovrei dare a questo mondo terribile mio figlio?


Sento che l’esperienza della guerra l’ha segnata profondamente, e come potrebbe essere altrimenti per chi la vive in prima linea! Provi a lasciar andare i ricordi liberamente, mi racconti cosa le viene in mente anche se le sembra non aver un senso o un ordine preciso…

La guerra sì, mi ha segnato. Come dice Lucrezia, mi ha cambiato come uomo. Adesso riconosco la morte, la attendo, a volte la desidero. Penso ad Evans, spesso. Le ho già parlato di Evans? Era un mio caro amico e l’ho perso in guerra. Non ho sentito nulla quando è stato ucciso, ma di tutti gli altri delitti ora sento il peso. Ho commesso delitti atroci, ma adesso non riesco a ricordarli…Io li vedo camminare quando sono nel parco, vedo Evans venire verso di me con il suo abito grigio. E poi li sento parlare, sento le loro voci dietro la parete della nostra camera da letto. Lei adesso le sente queste voci? Sento di non provare nulla, mi siedo sulla panchina di Regent’s Park e mi perdo nei miei pensieri, in quelle voci, mi perdo nella morte per fare ritorno solo quando Lucrezia interrompe i miei pensieri.



Commento Dottoressa L.

Il Sig. Septimius Warren Smith si presenta al mio studio accompagnato dalla moglie Lucrezia in cerca, a quanto mi viene riferito, di un ulteriore consulto medico dopo aver parlato con due miei colleghi. Entrambi i coniugi appaiono molto critici nei riguardi dei miei predecessori e pieni di speranza nei miei confronti. L’uomo, un trentenne piuttosto pallido, consunto e con una postura ricurva, inizia subito a raccontarmi quanto si sia sentito in qualche modo non curato o addirittura compromesso dagli altri medici dai quali ritiene di non aver avuto alcun giovamento; compaiono da subito primi vissuti di intollerabile invadenza dei suoi spazi vitali proprio a carico dei due medici. I suoi occhi sono particolarmente espressivi e tradiscono tanta preoccupazione, mista a speranza, confermando la sensazione che avevo avuto dalle parole scambiate con la moglie. Nonostante all’apparenza lo sguardo mi sia sembrato piuttosto vigile, ho percepito una forte tendenza nell’uomo a fuggire dal presente per ricercare (forse) una sua dimensione più intima e parallela: mi ha sorpreso, la sua capacità di prendere distanza, più volte dal tempo e dal luogo della seduta. Inizialmente mi ha raccontato del rapporto con la moglie e delle profonde divergenze che si trovano fra di loro, riferite soprattutto al desiderio di maternità della donna, rifiutato e condannato come modo per perpetuare la sofferenza della razza umana, che lui stesso definisce come lussuriosa. Le aspre note critiche sul tema, ma anche sulla vita umana in generale, sono la conseguenza diretta dell’esperienza di guerra vissuta da quest’uomo della quale mi parla soltanto sul finire del nostro incontro. Nelle sue parole si affacciano tratti di vissuto ripercorsi in maniera estremamente reale che mi confermano l’iniziale impressione circa la sua tendenza a rifugiarsi fuori dal presente. Se aggiungiamo la mancanza di emozioni e sentimenti che sente pesare, giorno dopo giorno e, in maniera più incisiva, le visioni di cui parla e le voci che racconta di sentire, il quadro psicologico che mi sembra comporsi chiaramente è quello di un disturbo post- traumatico da stress.


Disturbo da stress post-traumatico 
Si definisce disturbo da stress post-traumatico (PTSD) il complesso delle sofferenze psicologiche derivate da un evento catastrofico o traumatico. In alcuni ambiti è definito anche picchio da guerra per sottolinearne la sua diretta derivazione dall’osservazione clinica sistematica dei soldati della prima guerra mondiale che ne ha permesso una definizione più accurata anche se non mancano osservazioni precedenti a tale periodo storico. Si tratta di una grave risposta umana ad un evento critico abnorme (catastrofi naturali, guerre, violenze) caratterizzata da compromissione in diversi ambiti solitamente ricondotti alla “triade sintomatologica”: intrusioni, evitamento, iperattivazione psico-fisiologica.

Redazione Letturificio
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